«Storie del manicomio» su Lo storico della domenica
Sorgente: Lo storico della domenica, 19-05-22 (online)
Storie dal manicomio, l’ultimo libro di Francesco Paolella, conferma ciò che gli storici della psichiatria sanno bene e cioè che gli archivi dei manicomi sono vere e proprie miniere per la storia della disciplina ovviamente, ma non solo: possono essere utilizzati per studiare con profitto molti altri aspetti della storia.
Le undici storie riportate alla luce da Paolella lo confermano. Riguardano persone diversissime per età, sesso, posizione sociale, professione: dai bambini ai possidenti, dai parroci ad avventurieri, da personaggi assolutamente singolari (si veda il caso dell’ “Uomo-cifra”) ad “amori invertiti”.
I fili conduttori che legano tra loro queste storie per il resto disparate sono il San Lazzaro – il prestigioso manicomio di Reggio Emilia – e il fatto che tutte rientrano nei decenni che hanno visto il dominio del positivismo in ambito psichiatrico. Naturalmente, se non altro per il susseguirsi dei direttori, ognuno con la propria formazione e con le proprie inclinazioni, nel corso dei settant’anni che coprono il dipanarsi di queste storie – dall’ultimo quarto di secolo dell’Ottocento fino alla seconda guerra mondiale – molte cose cambiarono anche all’interno della psichiatria. Paolella ne dà conto illustrando i vari casi, ma l’impianto teorico in linea generale resta lo stesso: più che di curare e guarire ai manicomi fu demandato il compito di allontanare dal “consorzio civile” persone problematiche, (presunte) pericolose o di intralcio alle famiglie. Che fossero “folli morali” come “Il finto medico”, paranoici come “Il barone Paganini” (figlio del grande musicista) o sacerdoti dalla dubbia vocazione e dediti al bere, in molti casi società e famiglie si allearono per tenere a distanza questi soggetti. Non in tutti i casi: Tamburini offrì una sorta di via di fuga dal manicomio alla “ragazza miracolosa” proponendo che venisse restituita alla famiglia.
Il peso della vergogna di aver avuto un famigliare ricoverato in manicomio, vergogna confessata apertamente o meno, ricorre spesso in queste storie. Uno degli elementi interessanti di Storie dal manicomio è che un buon numero di esse riguardano famiglie facoltose o benestanti che potevano permettersi di garantire un trattamento privilegiato ai loro ricoverati. Da un lato confermano la natura di classe del manicomio, dall’altro aprono “finestre” per studiare mentalità, pregiudizi e timori della borghesia (si veda ad esempio il brusco rigetto all’”amore di Ersilia”). Non a caso quasi tutte le famiglie che inviano – in categorie privilegiate e a pagamento – propri congiunti al San Lazzaro risiedono lontano da Reggio Emilia. Non solo, almeno in un caso (“Un garibaldino”) espungono completamente la permanenza in manicomio di un loro famigliare. Ed è un aspetto che può essere confrontato anche col caso della “Bella Dorina”, una popolana proveniente da una famiglia problematica il cui padre – che tra l’altro, ha problemi con l’alcol – richiede spesso di avere sua figlia.
Un altro aspetto decisamente interessante del libro risiede nella metodologia d’indagine adottata da Paolella si serve principalmente degli scritti degli stessi ricoverati. Si tratta di un materiale che deve essere maneggiato con molta attenzione: le informazioni devono essere contestualizzate e valutate attraverso molti filtri. Paolella padroneggia con mano sicura questo materiale: lo incrocia con le osservazioni dei medici, ripercorre biografie famigliari, ricostruisce contesti culturali e sociali e muove con sapienza gli elementi per giungere a una comprensione esauriente della vicenda trattata.
Un dato emerge con chiarezza da queste vicende: il peso della vita in manicomio. Il manicomio schiaccia letteralmente l’internato, ricco o povero che sia, che goda o non goda di privilegi dovuti al censo. Il San Lazzaro aveva una conformazione “a villaggio” con i reparti disseminati su un amplissimo appezzamento di terreno e i “villini” dei ricoverati facoltosi ben distanziati dai reparti destinati ai poveri. Era una struttura che tentava di occultare la natura repressiva del manicomio. Tentativo vano: solitudine, angoscia, desiderio di libertà e tentativi di fuga si stagliano con nettezza in molte di queste vicende. Le storie che i restituisce Paolella sono anche, è bene ribadirlo, la storia di un fallimento: quello del manicomio come luogo di cura.
Storie dal manicomio di Francesco Paolella (con un’ottima bibliografia) è un libro che dovrebbe essere letto non solo dagli storici e dagli addetti ai lavori, ma anche da medici, psicologi, operatori sanitari, infermieri. Tutti, in realtà faremmo bene a leggerlo, tanto più che queste storie drammatiche e a volte commoventi sono raccontate con grande sensibilità ed empatia in uno stile scorrevole che invoglia alla lettura.
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