Descrizione
Dopo la sua nascita ufficiale nel 1928 con la Morfologia della fiaba di Propp e dopo gli straordinari progressi compiuti negli anni Sessanta e Settanta grazie alla Scuola di Parigi (da Roland Barthes a Gérard Genette), la narratologia si è andata configurando come una disciplina essenziale per lo studio morfologico dei testi narrativi, di matrice sia letteraria come i romanzi, sia extra-letteraria come gli articoli di cronaca giornalistica: se oggi riusciamo con sorvegliato rigore a identificare le unità minimali di una narrazione, trovare la grammatica sequenziale di un racconto, classificare la posizione del narratore all’interno di una storia, valutare il rapporto sempre mutevole tra il tempo della storia narrata e il tempo del discorso che la narra, identificare il punto di vista attraverso cui una storia è raccontata (parziale, totale, afocalizzazione variabile ecc.) lo dobbiamo al corpus di ricerche e al lavoro tassonomico svolto da quella grande generazione di strutturalisti. Dopo qualche anno di impasse, la narratologia è uscita da un alveo strettamente letterario per trovare nuovi stimoli nella psicologia genetica e cognitivista, e oggi nelle neuroscienze, che grazie a tecniche avanzate di imaging hanno iniziato a “fotografare” le operazioni della mente. Un gruppo di studiosi statunitensi, i cui contributi fondamentali questo volume presenta per la prima volta in traduzione italiana, ha assunto a oggetto di ricerca il pensiero narrativo. Oggi sappiamo che narrare o ascoltare un racconto ci consente non solo di classificare gli eventi e le situazioni della vita quotidiana, ma di valutare ogni nuova esperienza sulla base della sua conformità o difformità rispetto a uno schema pregresso. Come dire che viviamo sempre e comunque di racconti.
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