Il culmine del terrorismo di destra alla metà degli anni Settanta
Recensione di Stefano Liccioli, Toscana oggi (settimanale), 28-07-2024
Il prossimo 4 agosto ricorreranno cinquant’anni dalla strage del treno Italicus. Questo tragico evento è al centro del libro dello storico fiorentino Alessio Ceccherini La ragnatela nera. L’eversione di destra e la strage dell’Italicus (1973-1975) uscito lo scorso giugno per l’editore bolognese Clueb (pagine 432, euro 29). Lo studio, nato durante il dottorato di ricerca svolto dall’autore presso l’Università di Urbino, indaga un episodio a lungo trascurato dagli studi e contraddistinto, nonostante una ventennale storia processuale, dalla mancata individuazione dei responsabili. L’attentato ferroviario, avvenuto il 4 agosto 1974 sulla linea Firenze-Bologna con un bilancio di 12 morti e 44 feriti, colpì la quinta carrozza dell’Espresso Roma-Brennero («Italicus») diretto a Monaco di Baviera. La bomba a orologeria, secondo le indagini collocata a Firenze nella stazione di passaggio di Santa Maria Novella, esplose dentro la Grande Galleria dell’Appennino, una sessantina di metri prima che il convoglio uscisse dal tunnel.
Ciò fece sì che il convoglio, lanciato a grande velocità, uscisse dalla galleria e si avvicinasse per forza di inerzia alla stazione appenninica di San Benedetto Val di Sambro. Tra le vittime ci furono anche due fiorentini: Elena Donatini, di 57 anni, che faceva parte del consiglio di fabbrica dell’Istituto biochimico di Firenze in rappresentanza della Cisl e che fu identificata dal fratello per un certificato medico che aveva in tasca; Nicola Buffi, di 51 anni, che si trovava nello stesso vagone della Donatini. Buffi, iscritto alla sezione fiorentina della Dc di San Gervasio, era stato nel 1955 segretario provinciale amministrativo della Dc a Firenze. Il 9 agosto 1974, i funerali delle vittime in piazza Maggiore a Bologna fotografavano la tensione, con una partecipazione straordinaria e i fischi alle autorità dello Stato.
Nonostante le grandi trasformazioni sociali in corso, infatti, in quei giorni la Repubblica sentiva tutto il peso delle minacce alla democrazia. «La particolarità di questa ricerca afferma Ceccherini – è quella di collocare la strage dell’Italicus nel suo contesto storico secondo un “prima” e un “dopo”, interpretandola come apice nell’attacco del terrorismo di destra alla metà degli anni Settanta. Riemerge in quest’ottica lo stillicidio dimenticato di attentati minori che incide sul quadro politico e sociale del Paese dal 1973 fino alla metà del 1975. Numerosi di questi attentati avvennero anche in Toscana; come nel caso della strage ferroviaria fallita a Vaiano il 21 aprile 1974, di quella sventata a Incisa Valdarno il 12 aprile 1975 o come nel caso delle bombe che angosciarono Viareggio durante il carnevale del ’75. Dopo il tentativo di camuffamento politico degli anni precedenti, con la primavera del 73 prende infatti corpo una tattica nuova nei gruppi dell’eversione neofascista, che attaccano le istituzioni democratiche con attentati intimidatori».
La ragnatela dell’eversione neofascista – con la sua cultura politica, le sue dinamiche operative e la sua rete di legami sul territorio – viene studiata all’interno di uno snodo fondamentale della storia repubblicana, contraddistinto da instabilità governativa, pervasiva crisi economica e svolte su vari piani: dalla proposta del compromesso storico al risveglio della legge Scelba, dal referendum sul divorzio al dilagare dei fenomeni corruttivi, con il parallelo avanzare dell’eversione di sinistra e il problema montante dell’ordine pubblico. Anche se Ceccheríni, in maniera corretta, circoscrive il fenomeno studiato alla dimensione nazionale, non mancano i riferimenti ai grandi sommovimenti internazionali: Io scenario della crisi energetica, il colpo di Stato in Cile, il declino delle dittature mediterranee di Grecia, Spagna e Portogallo e lo scandalo del Watergate, con le dimissioni del presidente statunitense Richard Nixon […]