Descrizione
Parigi, Londra, Pietroburgo, Milano, New York, nell’immaginario e nell’esperienza di scrittori e poeti, dal Romanticismo e dal realismo fino alle avanguardie storiche del Novecento: Wordsworth, Mercier, Balzac, Dickens, Huysmans, fino a Joyce, Eliot e Döblin. Il volume riunisce in un unico racconto le principali immagini, pagine e voci, sulle città della letteratura. Non più sfondo, ma sempre di più personaggio, luogo d’azione di una storia in continuo divenire, “cosa umana per eccellenza” al cui cospetto però l’uomo sempre più spesso si sente estraneo, straniero a se stesso, la città erompe nella letteratura moderna, fra realtà e visionarietà, con fascino inesauribile. Miraggio e minaccia, la città è luogo esaltante di forme e ritmi sempre nuovi, eppure spazio di nuove patologie, ossessioni maniacali, malinconie.
INDICE
Presentazione. Qualche parola come introduzione
Il corpo di Parigi: realisti e visionari – Balzac / Baudelaire / Divagazione su E.A. Poe / Rimbaud e Zola / Huysmans
Luci ed ombre di Londra – Dickens. / Thomson
Pietroburgo fra mito e realtà – Dostoevskij / Divagazione su H. Melville
Milano: dalla città della Scapigliatura alla città futurista
Dallo scrivere al lasciarsi scrivere. Verso la frammentazione. Bibliografia e note. Qualche parola…
Nel 1924 Arthur Machen concludeva il suo libro L’avventura londinese o l’arte del vagabondaggio (132) con una sospensione, una non-fine: “Qui finisce, senza cominciare, The London adventure”. Doveva essere un libro di descrizioni della vita della città e si era trasformato in un testo di digressioni di chi, lasciandosi trasportare dalle fantasie, “ha perso la strada”. Il vagabondaggio “ozioso” per Machen diventa metodo, arte di sondare uno spazio che più che fisico è interiore. Piccoli frammenti di immagini esterne si alternano a pensieri, riflessioni, memorie, teorie filosofiche, teologiche, letterarie. Il vagabondaggio è il tramite per le fantasticherie. Il testo si presenta come una divagazione sul vuoto. Non è possibile dare un limite all’abisso inesplorato che è la città, come non è possibile dare un limite all’abisso, inesplorato ed inesplorabile, che sono la mente umana e il mondo, in quella lunga marcia da un’inconcepibile ad un altro, come Machen definisce il movimento del progresso, nel movimento del progresso, nel momento in cui, più forte che mai, sulle rovine della prima guerra mondiale, si viveva al limite e l’assurdità della storia moderna, infinita serie di illusioni e aberrazioni. Londra, che nel 1922 T.S. Eliot aveva descritto come una “terra desolata”, frammentaria e in preda alle fiamme, era entrata con forza nella letteratura e nella poesia più di cento anni prima, come spazio di una modernità che si muoveva ai ritmi della nuova storia che, sotto il segno dell’idea di progresso tecnico, scientifico ed industriale, si stava disegnando. Il destino di Londra era quello comune a molte città che, in tempi diversi, dalla fine del Settecento, si erano aperte ai cambiamenti, a nuove tensioni ed energie: Parigi, città del “popolo” e scenario di rivoluzioni; Pietroburgo, la città “più astratta e premeditata di tutto il globo”, come l’aveva definita Dostoevskij (Memorie del sottosuolo), sorta nel 1703 su acquitrini e paludi, e concretizzazione di “un’idea” di Pietro il Grande; Milano, che solo dopo l’Unità d’Italia, dal 1861, si era avviata ad un cambiamento in senso moderno; Berlino, il cui sviluppo industriale era iniziato solo alla fine dell’Ottocento; e poi New York, città delle città, simbolo di un paese modello per il processo europeo: libertà, democrazia, progresso tecnico. Ogni città con una storia a sé, eppure accomunata alle altre dai ritmi della modernità: ristrutturazioni, sventramenti, industrializzazione, nuovi ritmi di un tempo sempre più parcellizzato e veloce, la folla e il potere dilagante del denaro, dovunque sovrano… (Da Qualche parola come introduzione, di Mili Romano)
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