Descrizione
La dittatura militare negli anni ’30, l’occupazione nazista e sovietica e, infine, il passaggio forzato al comunismo: è questo il contesto in cui l’autrice inserisce i rapporti tra i polacchi e gli ebrei nel nostro secolo. Dopo la breve stagione della democrazia negli anni ’20, la Polonia è stata assoggettata a regimi che si sono serviti dell’antisemitismo come arma della lotta politica e base della propria legittimazione, dando nuovo alimento a un sentimento che ha radici religiose e culturali lontane. L’emigrazione forzata degli ebrei, che è divenuta “progetto per la colonizzazione ebraica dell’isola del Madagascar” negli anni ’30, ha fatto parte del programma del governo polacco in esilio a Londra durante la guerra e infine è stata attuata nel 1968, quando la comunità ebraica scampata allo sterminio nazista ha lasciato il paese a seguito della campagna antisemita lanciata dal partito comunista al potere, è il risultato di un odio atavico, ma anche dell’accecamento ideologico che ha portato i polacchi a considerare gli ebrei solo attraverso il prisma delle proprie convinzioni politiche. Durante la seconda guerra mondiale, molti polacchi hanno prestato soccorso agli ebrei perseguitati dai nazisti, continuando a sostenere la necessità della loro emigrazione una volta finito il conflitto. Nella Polonia comunista la soluzione della questione ebraica è stata il banco di prova della teoria dell’assimilazione totale, che doveva coincidere con la scomparsa di tutte le differenze.
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.