Descrizione
Alla fine di Pinocchio, entrando nella scena della morale, Pinocchio trova «un pajo di stivaletti di pelle che gli tornavano una vera pittura». In un’altra stanza, Geppetto disegna una «bellissima cornice ricca di fogliami, di fiori e di testine di diversi animali». È possibile che i due dettagli, la pittura e la cornice, finora invisibili all’indagine critica, siano il segno di un raddoppiamento fatale, che comporta la morte testuale del burattino e insieme la scomparsa della bonissima Fata? Questa domanda è possibile a condizione di rivedere nell’opera di Collodi il tema della verità in pittura, e ha un senso evidente nel contesto aperto da Jacques Derrida: «Il ritornarci sopra», argomenta il filosofo francese, «sarebbe di grande importanza in questa discussione (già aperta anch’essa) se davvero il problema è quello di sapere a chi e a che cosa riporterebbero alcune scarpe, e forse le scarpe in generale. A chi e a che cosa, di conseguenza, per saldare un debito, dovremo restituirle, dovremo renderle. Ma perché continuare a dire che la pittura rende qualcosa, che restituisce?». Pinocchio è un’opera da restituire all’arte, al di là dell’ovvio dettaglio di una natura morta, articolando nell’opera quei tagli della morale che funzionano da censura. Con questo saggio innovativo e provocatorio, Davide Messina espone la metamorfosi della pittura nel capolavoro di Collodi e la inquadra nell’arte del Novecento internazionale. Dopo questa lettura, Pinocchio non sarà più lo stesso, e le nuove direzioni aperte alla ricerca sono molteplici. Perché infine, scrive Messina, «nei libri c’è sempre da leggere molto di più di quanto si pensi leggendo i libri».
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