Descrizione
Questo libro consta di due parti distinte ma interdipendenti. La prima ricostruisce le negoziazioni quotidiane intercorse tra Bologna e Roma sul tema più scabroso sia per il Senato sia per il papa re: l’esercizio della piena giurisdizione criminale per quest’ultimo, la difesa delle prerogative della città per il primo, affrontando la questione ‘giustizia’ nei suoi termini più specificamente politici, quindi dando conto di come il ceto dirigente bolognese si rapportò e reagì alla giustizia dei «Superiori», e come questi risposero alle sue sollecitazioni, in un arco temporale che va dagli anni Trenta del XVI secolo agli anni Settanta del XVII. Il lavoro ha così potuto documentare le condizioni concrete mediante le quali il potere pontificio riuscì a imporre un controllo effettivo sulla città, quasi sempre senza ledere e senza negare apertamente i suoi privilegi, ma nel contempo senza mai riconoscerli in modo esplicito e incondizionato.
Nella seconda parte, incentrata soprattutto sugli ultimi decenni del XVII secolo, sono state messe a fuoco le procedure adottate dal tribunale criminale di Bologna: si è cercato cioè di ricostruire sia le pratiche forensi che scandivano i passaggi dell’iter processuale – dalla denuncia alla sentenza – sia le auctoritates dottrinali seguite nelle tecniche degli interrogatori, nel vaglio delle prove, nell’uso che veniva fatto della tortura, nei margini concessi alla difesa dei rei. Dallo spoglio dei fascicoli, ampio come mole ma forzatamente limitato nel numero degli anni, sembra emergere un atteggiamento cauto nei giudici, già disposti, parecchi decenni prima di Beccaria, a interrogarsi sulla illusoria certezza delle prove, sui limiti dell’arbitrio dei giudici e persino sulla inevitabilità o meno dell’uso della tortura.
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