Descrizione
Sin dai primi anni dopo la Conquista, religiosi ed eruditi cominciarono a interessarsi alle pittografie azteche. Guardate con l’occhio dei colonizzatori, quelle manifestazioni grafiche apparivano irrimediabilmente inferiori alla scrittura ed alla pittura del Vecchio Mondo: le note, le glosse e i commentari in scrittura alfabetica si aggiungevano così alle immagini-testo tradizionali per tentare di renderle intelleggibili agli europei, dando origine a quei codici postcoloniali “misti” di cui il “Codex Mendoza” costituisce un esempio tra i più famosi. Due tradizioni scrittorie tra loro inassimilabili – quella indigena e quella europea – coesistono e si scontrano all’interno di quell’unico manoscritto: due sono pertanto le “paleografie” di cui questo libro sviluppa i metodi, presentando – sulla scia delle ricerche di Joaquin Galarza – una indagine distinta dei due sistemi di segni che restituisce la legittima proprietà al testo pittografico. Ne emerge un’immagine del Codex Mendoza quale testimonianza globale di un “diverso” modo di comunicare, nel quale la non-sovrapponibilità dei codici grafici prelude alla distruzione di quello storicamente (o meglio: militarmente) perdente.
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