Descrizione
“Qualunque cosa sia, non somiglierà più alla lingua inglese”, scriveva allarmato Henry James, dopo aver ascoltato gli “accenti del futuro” in una visita al ghetto del Lower East Side di New York. In realtà, l’incrocio babelico delle lingue, così colorito e commovente nelle pagine di Abraham Cahan e di Henry Roth, segnava l’inizio di una nuova e felice stagione della letteratura anglo-americana, che oggi non sapremmo nemmeno immaginare senza gli apporti a lungo rimossi o dissimulati e più tardi liberamente esplosi degli ebrei immigrati dal Vecchio Mondo. Attraverso una serie di interventi su una vasta campionatura di quel che ormai si configura come un corpus ricchissimo, questo libro esamina le dinamiche e le modalità grazie alle quali un popolo non a caso definito text-centered ha saputo conservare o contrabbandare una sua tradizione all’interno di un mondo apparentemente vergine come quello americano. Fra le tentazioni della fedeltà a oltranza e quella del revisionismo, s’intreccia un gioco intertestuale di riletture, riscritture, interpretazioni eterodosse, parodie, che investe i campi paralleli della narrativa, della poesia, della saggistica, del cinema… In sottofondo, è sempre avvertibile la stessa domanda: ma esiste uno “specifico” ebraico-americano? E alla domanda, come insegna il Talmud, non si può rispondere che con un’altra domanda.
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