Paola Di Cori è stata docente di studi culturali, studi di genere e storiografia in università italiane ed estere.

Sapienza irrinunciabile, spirito severo e irriverente, a Michel De Certeau, autore di cui ha appreso la lezione così come l’azzardo della contaminazione teorico-pratica, ha indirizzato pagine densissime, dai tragitti messicani alla sua ricezione di Favre, passando per il linguaggio, l’invenzione del quotidiano, la storia nella grande stagione della semiotica tra frane e punti di rottura. Era un outsider difficile da etichettare, lui. E in effetti anche lei, che non ha mai inteso l’impegno accademico come una gabbia separata dalla realtà. Per Di Cori era infatti tutto impastato di esperienza e intersezioni, dalla fondazione – negli anni Ottanta – della rivista «Memoria», fino alla Società italiana delle storiche, così come i numerosi comitati redazionali di cui ha fatto parte («Gender and History», «Mora», «Derekh», «Leussein») alla scelta irriducibile sui modi delle narrazioni (in particolare quelli riferiti alla storia delle donne e alle sue «asincronie») dalla memoria pubblica al suo spazio e la congiuntura con l’arte.
(«il Manifesto», 8 novembre 2017)